Il quarto si fa sentire presto. Esplode, mentre il paese comincia a svegliarsi, facendo levare un filo di fumo
tra la vegetazione che inverdisce di primavera le pietre morte della montagna. Comincia così, con i mortaretti che esplodono ogni quarto d’ora sulla montagna il Venerdì santo corleonese.
Cristo sta per essere portato al patibolo, ma si sa già come va a finire. Si sa che dopo la morte verrà la resurrezione, dopo la croce la Pasqua. Perciò nessuna meraviglia se la giornata comincia anche con enormi pentole piene di finocchietti di montagna che cuociono in attesa di riunirsi alle sarde e alla pasta. Un tempo, la giornata cominciava anche con i pupi cu l’uova, panini dalle forme più strane con un uovo al centro, diventato sodo nel forno mentre la farina diventava pane.
Resiste ancora, invece, tra alti e bassi, il rito più antico della città, con cui ogni anno vengono commemorate la passione e la morte di Cristo. Un rito vecchio di seicento anni, giunto fino a noi dopo aver subito profonde modifiche nel corso dei secoli.
(Mezzo millennio di passione – Nonuccio Anselmo)
Quando guardo le foto di Mario Cuccia, sento i botti che esplodono sulla Rocca ri maschi, sento la banda suonare la “Quattordici”, il mormorio del fiume che scorre a Santo Nicolò, sotto il Calvario, l’odore dell’erba a primavera sul viottolo che conduce alla croce, quello di vernice bruciata dei fanaletti dei “Servi di Maria”. Ma questo forse dipende dal fatto che nei luoghi della Passione corleonese con Mario ci saremo incontrati una cinquantina di volte. Non so per quanto tempo potremo continuare a farlo, ma so con certezza che per nessuno visitare questa mostra e scorrere questo catalogo sarà tempo perso o inutile. . ( 50 anni di Venerdi Santo a Corleone – Nonuccio Anselmo)
VENERDI SANTO A CORLEONE
VENERDI SANTO A CORLEONE
VENERDI SANTO A CORLEONE
VENERDI SANTO A CORLEONE